È ormai una legge dello Stato Italiano, quella che ha istituito il Fondo di solidarietà per il coniuge in stato di bisogno, destinato a quelle persone che, separate o divorziate, versano in stato di bisogno e non riescono a ricevere l’assegno di mantenimento dall’ex coniuge.
La legge di stabilità n. 208 del 2015 ha istituito, presso il Ministero della Giustizia, un “Fondo di solidarietà a tutela del coniuge in stato di bisogno” per gli anni 2016 e 2017. Il necessario decreto attuativo del 15 dicembre 2016, che ha sbloccato la dotazione dei fondi previsti è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 14 gennaio 2017. Per il 2016 la dotazione del fondo è pari a 250.000 euro, mentre per il 2017 è stato previsto uno stanziamento pari a 500.000 euro.
Si tratta di un’assoluta novità nel panorama legislativo italiano peraltro con alcune precisazioni e limitazioni: la misura di sostegno infatti riveste carattere sperimentale: in tal senso, la sua applicazione avrà luogo esclusivamente in alcuni Tribunali italiani (tra cui il tribunale di Milano).
Chi ha diritto di accedere al fondo
La domanda di accesso al Fondo di solidarietà può essere presentata da coloro che risiedono nel territorio di uno dei Comuni del distretto individuato dal decreto ministeriale.
La richiesta può essere avanzata dal coniuge legalmente separato in stato di bisogno con il quale convivono figli minori o figli maggiorenni portatori di handicap grave, che non sia contestualmente in grado di provvedere al mantenimento proprio e della prole nel caso in cui non abbia ricevuto l’assegno di mantenimento, determinato ai sensi dell’articolo 156 del Codice civile, per inadempienza del coniuge obbligato.
Da notare che solo i genitori possono accedere al Fondo: il richiedente, infatti, è il coniuge separato «con il quale convivono i figli minori o figli maggiorenni portatori di handicap grave. I figli, pertanto, non hanno alcuna legittimazione ad avanzare richieste al Fondo.
I titoli che possono essere utilmente posti alla base di rituale domanda di accesso al fondo sono rappresentati quindi 1) dall’omologa emessa da un Tribunale a seguito di un procedimento per separazione consensuale, 2) da una sentenza di separazione esecutiva sul punto, o 3) da un accordo stabilito tra coniugi a seguito del procedimento di separazione assistita.
A fronte della recente entrata in vigore della legge n. 76/2016 (Legge Cirinnà sulle unioni civili), occorre domandarsi se la Legge istitutiva del Fondo sia applicabile anche alle persone unite civilmente e alle unioni di fatto.
La risposta deve essere negativa in entrambi i casi: il richiedente, infatti, deve essere un coniuge separato e non deve aver ricevuto l’assegno di mantenimento: diritto che non è previsto per gli uniti civilmente, né per il coniuge divorziato, ai quale invece, spetta l’assegno divorzile non assimilabile a quello di mantenimento.
Allo stesso modo, al beneficiario individuato dalla nuova legge istitutiva del Fondo non è assimilabile il convivente di fatto, titolare in via autonoma di un assegno alimentare ex articolo 1, comma 65, legge n. 76 del 2016.
Come si vede, il legislatore ha ritenuto preferibile tutelare, almeno in questa prima fase, la famiglia tradizionale, fondata sul matrimonio, il cui vincolo non è ancora del tutto disgregato o gli effetti civili non ne sono ancora venuti meno.
Peraltro un’evidente perplessità emerge prepotente, laddove la novella legislativa non ha inteso tutelare i figli maggiorenni non indipendenti economicamente, e neppure i figli naturali, ovverosia quelli nati fuori dal matrimonio, nonostante l’uguaglianza dei figli innanzi alla legge sia stata ormai sancita dalla Riforma del diritto di famiglia attuata mediante il D. L.vo 154 del 28 dicembre 2013.
Ulteriore criticità della novella legislativa deriva dal fatto che i titoli derivanti da accordi di separazione o divorzio conclusi innanzi all’Ufficiale di Stato civile di cui alla L. 10 novembre 2014, n. 162 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, recante misure urgenti di degiurisdizionalizzazione (che peraltro non possono essere stipulati in presenza di figli minori o maggiorenni incapaci o portatori di grave handicap), non possono utilmente essere posti a fondamento delle domande di accesso al fondo.
Modalità di accesso al Fondo di solidarietà per il coniuge in stato di bisogno
Per accedere a tale fondo è necessario scaricare il modulo disponibile, a partire dal 13 febbraio 2017, in un’apposita area sito internet del Ministero della Giustizia. Va evidenziato che le domande presentate attraverso una modulistica differente da quello ufficiale non vengono accettate.
L’istanza, debitamente compilata va, quindi, depositata presso la Cancelleria del Tribunale Civile competente, senza dover pagare nulla a titolo di bollo o imposte.
L’istanza deve contenere, a pena di inammissibilità e con dichiarazione resa ai sensi del d.P.R. n. 445/2000:
- le generalità e i dati anagrafici del richiedente;
- il relativo codice fiscale;
- copia del documento di identità in corso di validità;
- l’indicazione degli estremi del proprio conto corrente bancario o postale;
- l’indicazione della misura dell’inadempimento del coniuge obbligato, con la specificazione che lo stesso è maturato in epoca successiva all’entrata in vigore della legge.
In tal senso, il decreto attuativo precisa che l’accesso al Fondo è consentito solo se l’inadempimento del coniuge onerato sia maturato successivamente all’entrata in vigore della legge n. 208/2015, quindi successivamente al 1° gennaio 2016.
A fronte di dato letterale normativo che richiede al coniuge in stato di bisogno di specificare la misura dell’inadempimento”, si può dedurre che anche un inadempimento parziale o inesatto possono giustificare l’accesso al fondo.
Nel novero degli adempimenti richiesti in fase di compilazione dell’istanza, il richiedente è tenuto ad indicare se il coniuge inadempiente percepisca redditi da lavoro dipendente e, in caso affermativo, deve dichiarare che il datore di lavoro si è reso inadempiente all’obbligo di versamento diretto a favore del richiedente precedentemente ottenuto da un Tribunale Civile a norma dell’art. 156, sesto comma, del codice civile.
Ciò, ad avviso di chi scrive, sta ad indicare che il preventivo esperimento (con esito negativo in sede esecutiva) dell’azione giudiziaria di cui all’art. 156 sesto comma del codice Civile, sia condizione necessaria per poter ottenere l’accesso al Fondo. Il che, significa, in ultima analisi, rendere molto difficoltoso e in tempi lunghi esercitare i propri diritti da parte di un soggetto già debole per definizione.
Inoltre, il richiedente deve indicare:
- il valore dell’indicatore ISEE o dell’ISEE corrente in corso di validità è inferiore o uguale a euro 3.000,00;
- l’indirizzo di posta elettronica ordinaria o certificata a cui l’interessato intende ricevere ogni comunicazione relativa all’istanza presentata;
Il richiedente deve poi dichiarare di versare in una condizione di occupazione, ovvero di disoccupazione ai sensi dell’art. 19 del d.lgs. n. 150/2015 senza la necessità della dichiarazione al portale nazionale delle politiche del lavoro di cui all’articolo 13 del medesimo decreto; in caso di disoccupazione, il richiedente deve dichiarare di non aver rifiutato offerte di lavoro negli ultimi due anni.
All’istanza dovranno essere infine allegati, a pena di inammissibilità:
- copia autentica del verbale di pignoramento mobiliare negativo, ovvero copia della dichiarazione negativa del terzo pignorato relativamente alle procedure esecutive promosse nei confronti del coniuge inadempiente;
- una visura (a pagamento) rilasciata dalla conservatoria dei registri immobiliari delle province di nascita e residenza del coniuge inadempiente da cui risulti l’impossidenza di beni immobili;
- l’originale del titolo che fonda il diritto all’assegno di mantenimento, o in alternativa di copia del titolo munita di formula esecutiva, rilasciata a norma dell’art. 476, primo comma, del codice di procedura civile.
Tribunali legittimati alla ricezione dell’istanza
L’istanza di accesso al Fondo, debitamente redatta, andrà poi depositata presso la cancelleria del Tribunale competente, del luogo ove ha residenza. La procedura, fortunatamente, non è assoggettata al pagamento del contributo unificato o altra forma di tassazione: in altri termini è del tutto gratuita.
Il decreto ministeriale precisa quali sono i Tribunali legittimati, in via sperimentale, a ricevere l’istanza. Si tratta dei Tribunali che hanno sede nel capoluogo dei distretti sede delle Corti di Appello indicati nella tabella A annessa al Regio Decreto 30 gennaio 1941 n. 12.
Per l’effetto questi saranno i distretti di: Ancona, Bari, Bologna, Bolzano, Brescia, Cagliari, Caltanissetta, Campobasso, Catania, Catanzaro, Firenze, Genova, L’Aquila, Lecce, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Perugia, Potenza, Reggio Calabria, Roma, Salerno, Sassari, Taranto, Torino, Trento, Trieste, Venezia.
Dubbi permangono in relazione alla sezione distaccata della Corte di Appello di Cagliari, con sede in Sassari, ma stante la lettera dell’art.2 del decreto attuativo, oltre alle finalità della norma, deve ritenersi incluso anche il Tribunale di Sassari.
Il procedimento
A seguito della ricezione dell’istanza, il Presidente del Tribunale nei trenta giorni successivi al deposito ne valuta l’ammissibilità. Quando l’istanza sia ritenuta ammissibile viene trasmessa al Dipartimento per gli affari di giustizia del Ministero della Giustizia presso cui è istituito il Fondo ai fini dell’erogazione della somma richiesta, nei limiti indicati dalla legge, ovverosia in misura non superiore all’importo dell’assegno medesimo.
Se il giudice non ritiene sussistenti i presupposti per la trasmissione dell’istanza al Ministero della giustizia, provvede al rigetto della stessa con decreto non impugnabile. Tale decreto non è suscettibile di passare in giudicato, così da rendere l’istanza sempre riproponibile.
Se, al contrario, pur sussistendone i presupposti, il Tribunale ritiene inammissibile l’istanza, la trasmette al Fondo indicandone le ragioni.
Il Fondo, sulla base del provvedimento adottato dal giudice, accoglie o rigetta l’istanza e provvede alla liquidazione delle istanze accolte.
Il Fondo, alla scadenza di ogni trimestre, distribuisce agli aventi diritto, le cui istanze sono trasmesse al Fondo nel corso del medesimo trimestre e secondo criteri di proporzionalità, le risorse imputate al medesimo trimestre.
Le somme inutilizzate nel corso di un trimestre incrementano le disponibilità del trimestre successivo nell’ambito dello stesso esercizio finanziario. In ogni caso, all’avente diritto il Fondo non può erogare, in relazione a ciascun rateo mensile dell’assegno di mantenimento, una somma superiore alla misura massima mensile dell’assegno sociale.
Il provvedimento con cui il Ministero della giustizia accoglie l’istanza del richiedente è revocato nel caso venga accertata l’insussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi per l’ottenimento delle somme, ovvero nel caso la documentazione presentata contenga elementi non veritieri o sia incompleta rispetto a quella richiesta.
Sono fatte salve le eventuali conseguenze di legge civile, penale e amministrativa e, in ogni caso, si provvede al recupero delle somme indebitamente erogate.